Ruolo del Claustro nella sincronizzazione
LORENZO L. BORGIA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 16 maggio 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE/AGGIORNAMENTO]
Il claustro rimane indissolubilmente legato nella storia della medicina
alla fama del suo scopritore: Felix Vicq d’Azyr, brillante neuroanatomista di grande talento artistico
e scientifico, scopritore di varie strutture cerebrali, fondatore dell’anatomia
comparata e medico personale di Maria Antonietta all’epoca della rivoluzione
francese[1]. A lui si attribuisce la realizzazione
della tecnica di fissazione dei tessuti per l’osservazione morfologica, grazie
alla quale poté allestire un preparato che evidenziava le piccole cuspidi di
materia grigia sporgenti dalla lamina del claustro nella sostanza bianca dell’insula
di Reil.
La magistrale rappresentazione pittorica di questo particolare da parte di Felix
Vicq d’Azyr nella prima
pubblicazione su questa formazione grigia telencefalica del 1786, può ancora
essere ammirata online grazie alla Bibliothèque Interuniversitaire
de Santé, che consente di paragonare la sua ottima
riproduzione con i preparati moderni e con le immagini ottenute mediante le più
sofisticate tecniche basate sulla metodica della risonanza magnetica nucleare (RMN
o MRI)[2]. Le protrusioni di gruppi di corpi
cellulari del claustro nella struttura mielinica delle circonvoluzioni dell’insula
non sono state quasi mai riprodotte nelle illustrazioni anatomiche dei
successivi 230 anni, e la loro perfetta copia manuale a grandezza naturale da
parte di Vicq d’Azir rimane
un’immagine più nitida e precisa di quelle che si ottengono fotografando le
sezioni dei moderni preparati. Si menziona questo particolare, non per rendere
merito all’abilità di un impareggiabile disegnatore, ma perché le protrusioni
grigie claustrali del cervello umano, dei delfini e di vari altri mammiferi, sono
state poste in relazione con i processi che hanno determinato la morfologia del
claustro stesso nell’evoluzione[3].
Con questo cenno storico, si vuole introdurre uno studio che sembra aver riconosciuto
un primo definito ruolo neurofunzionale al claustro, ricordando che questa sottile
lamina sub-insulare di sostanza grigia, dopo l’iniziale descrizione, è stata a
lungo negletta perché la comprensione della parte che svolge nella fisiologia
cerebrale è apparsa a molti un insolubile rompicapo. La connessione con tutte
le vie sensoriali senza alcuna evidenza di partecipazione all’elaborazione dei singoli
canali percettivi, la difficoltà a comprendere il senso funzionale dei
collegamenti assonici con i vicini nuclei della base telencefalica e l’apparente
rapporto preferenziale con l’amigdala, sono alcuni dei problemi irrisolti.
A partire dall’interesse mostrato per questa struttura da Francis Crick,
che insieme con Christof Koch elaborò
interessanti ipotesi circa un ruolo nella coscienza, si è progressivamente
assistito al moltiplicarsi dei gruppi di ricerca impegnati, con differenti
approcci, a diradare le nebbie che ancora appaiono fitte su tutto quanto
riguarda la possibile codifica in macrofunzioni
schematizzabili della partecipazione del claustro alle principali reti di
elaborazione conosciute. Il lavoro più avanti recensito coglie un aspetto di uno
dei ruoli ipotizzati, ma noi lo prendiamo a pretesto per proporre, sia pure in
sintesi, alcuni argomenti di attualità in un campo della ricerca che promette
notevole espansione nel prossimo futuro.
Kimiya Narikiyo
e colleghi coordinati da Yoshihiro Yoshihara hanno indagato la relazione elettrofunzionale con
la corteccia cerebrale, individuando un ruolo di coordinatore della genesi di
un particolare tipo di attività elettrica neocorticale.
(Narikiyo
K., et al., The claustrum coordinates cortical slow-wave activity. Nature Neuroscience – Epub
ahead of print doi: 10.1038/s41593-020-0625-7, 2020)
La provenienza degli autori è la seguente: Laboratory for Neurobiology of Synapse, Laboratory
for Neural Circuit for Memory, Laboratory for systems Molecular Ethology, RIKEN
Brain Science Institute, Saitama (Giappone).
Nel nostro studio sul claustro del 2017, sviluppato
attraverso due discussioni, si è inizialmente seguito il taglio dato da Helen Sherk alla trattazione
dell’argomento nella principale monografia sul claustro[4]. Qui di seguito si propongono in estrema sintesi i contenuti principali.
“La ricerca
sulla fisiologia del claustro ha avuto inizio negli anni Settanta, ma il numero
dei lavori fino ad oggi pubblicati è veramente esiguo, soprattutto se si
paragona a quello di altre formazioni grigie della base del telencefalo. Le
ragioni sono facili da comprendere: la localizzazione
e, soprattutto nei cervelli di maggiori dimensioni, la forma del claustro rendono molto difficile la rilevazione
dell’attività neuronica mediante elettrodi; allo stesso modo, la sua estrema sottigliezza nell’uomo, poco si adatta
ai metodi di neuroimmagine funzionale. Un altro aspetto di questa ricerca,
molto interessante e poco noto, è che lo studio sistematico della fisiologia
del claustro è stato intrapreso soltanto in due specie: il gatto (Felis silvestris catus) e il macaco (Macaca, varie specie).
Nel gatto le connessioni
consentono di distinguere nel claustro zone precise, quali la zona visiva, la zona somatosensoriale e motoria,
le zona uditiva e la zona ventrale. Nel macaco, invece, è
difficile dividere il nucleo in aree discrete, anche se nella parte
ventroposteriore si riconosce una zona visiva dai limiti indefiniti. Le
connessioni con la corteccia in entrambi gli animali sono state studiate in
dettaglio. Gli assoni che vanno dal claustro alla corteccia erano tradizionalmente
ritenuti eccitatori (da Costa et al.,
2010; LeVay, 1986), ma si è rilevato che la stimolazione
elettrica del claustro nel gatto sopprime lo sviluppo di potenziali d’azione
nelle cellule corticali di varie aree, inclusa l’area 4 (M1) e l’area motoria
supplementare 6. Anche l’area visiva 17 risulta soppressa dalla stimolazione
del claustro, in vari esperimenti; tuttavia è stata rilevata anche
un’eccitazione di breve durata, compatibile con le sinapsi eccitatorie claustro-corticali
formate sui dendriti dei neuroni della corteccia cerebrale[5]. Questi risultati devono essere considerati con cautela, perché
variazioni minori possono sfuggire al rilievo negli studi di lesione e, negli
studi su animali anestetizzati, possono passare inosservati cambiamenti motori
o cognitivi.
Sono numerose le ipotesi sui
ruoli funzionali del claustro, ma solo poche hanno riscosso i consensi o
quantomeno l’attenzione della comunità neuroscientifica. La maggior parte delle
tesi si focalizza sul fatto che l’informazione dei diversi canali sensoriali
converge su questo nucleo in zone separate, e che l’uscita dal claustro verso
gran parte della corteccia fornisca un’interazione intermodale.
Le due principali ipotesi in
campo sono quella di Crick e Koch[6] e quella detta del “mismatch”[7].
Francis Crick, premio
Nobel per la scoperta della struttura del DNA con Watson e Wilkins, e Christof Koch, neuroscienziato presidente dell’Allen Institute for Brain Science di
Seattle, nel 2005 hanno ipotizzato che il claustro colleghi differenti modalità
di un evento del mondo reale per creare una percezione altamente significativa.”[8].
Si deve però notare che
una sperimentazione diretta a verificare questa ipotesi (Remedios
et al., 2010)[9] ha rilevato che né risposte visive, né risposte uditive erano accentuate
nel claustro quando si accoppiavano gli stimoli visivi e acustici. Per maggiori
dettagli in proposito si rimanda alla citata discussione del 2017, ma si deve
tener conto che la difficoltà maggiore per accettare questa ipotesi riguarda l’anatomia
interna del claustro. L’ipotesi richiede l’integrazione tra zone che elaborano modalità
sensoriali differenti, con assoni che collegano fra loro zone diverse del
nucleo, come avevano precisato nel 2005 gli stessi Crick e Koch[10], ma già due anni dopo Rahman e Baizer, dopo
una accurata revisione dei lavori morfologici pubblicati fino allora,
concludono: “Nonostante numerosi studi anatomici del claustro […] c’è un’informazione
sorprendentemente limitata circa le connessioni interne”[11]. Pertanto, i dati morfologici indicano una prevalente funzione di
controllo inibitorio, con un corto raggio dei collaterali assonici
insufficiente a collegare le varie zone del nucleo.
La seconda ipotesi, avanzata
dagli stessi curatori della citata monografia sul claustro, ossia John R. Smythies, Lawrence R. Edelstein e
Vilayanur S. Ramachandran,
propone che il mismatch o discordanza fra un’informazione
sensoriale e l’aspettativa cerebrale attiva il claustro, che elabora questa
discrepanza e invia informazioni alla corteccia cerebrale. In particolare,
seguendo gli stessi autori dell’ipotesi in un loro esempio con la percezione
visiva, si ritiene che un segnale di discordanza
sia inviato dal talamo al claustro quando l’input
sensoriale in arrivo non corrisponde “all’aspettativa del cervello su come
l’informazione dovrebbe essere”[12]; allora il claustro invia una raffica di potenziali d’azione a frequenza
γ, ossia all’incirca 40 Hz, alla corteccia visiva in corrispondenza della
specifica localizzazione retinotopica. Tale segnale,
secondo l’ipotesi, è propagato all’interno del claustro e successivamente è
inviato ad altre aree della corteccia cerebrale, sensoriali non visive e
motorie. Helen Sherk è lapidaria: “L’attuale
comprensione delle proprietà fisiologiche dei neuroni claustrali è
insufficiente per valutare questa ipotesi. Per verificare una risposta di
discordanza, si dovrebbero registrare i neuroni del claustro di un animale
sveglio che ha delle aspettative circa gli eventi futuri, cosa che non è stata
tentata”[13].
Riportiamo ora quanto
osservato nello studio del 2017 sull’ipotesi della discordanza (mismatch)
e lo scetticismo sul ruolo del claustro nella sincronizzazione, interessante
per comprendere il valore dello studio di Kimiya Narikiyo qui recensito:
“L’ipotesi della discordanza
implica una previsione, ossia che i neuroni del claustro presentino risposte
multimodali, e tale previsione può essere verificata. Se ci basiamo sugli studi
ormai classici di Olson e Graybiel
(1980) e di Sherk e LeVay
(1981), non disponendo di altri più recenti, dobbiamo dire che risposte
multimodali nelle cellule nervose del claustro non sono state trovate.
Un ostacolo all’ipotesi della discordanza, maggiore di
quello costituito dai problemi fisiologici, viene dall’anatomia. Il segnale di
discordanza dipende da un’attività retinotopicamente
precisa, riverberata dal corpo genicolato laterale, attraverso il nucleo
reticolare del talamo e poi i nuclei intralaminari
talamici, per giungere al claustro (Kolmac e Mitrofanis, 1977)[14]. Ma, come è noto, non esiste un’organizzazione retinotopica
nei nuclei intralaminari (Salin,
et al., 1989)[15]. L’ipotesi implica poi un’attività propagata all’interno del claustro
dalla zona visiva alle zone somatosensoriali e ventrali, ma finora non è stato
individuato un sostrato anatomico per tale propagazione del segnale.
Infine, un ruolo del claustro
nella sincronizzazione di aree della corteccia distanti fra loro sembra davvero
poco probabile. Gli assoni claustro-corticali sono di piccolo calibro e
conducono molto lentamente: un’ipotetica raffica di potenziali d’azione
proveniente dal claustro non avrebbe la velocità per generare una sincronizzazione,
attraverso il rientro, fra aree distanti”[16].
Nell’approfondimento degli
studi sulla fisiologia del claustro abbiamo sinteticamente considerato le due
visioni principali: l’ipotesi formulata da Smythies, Edelstein e Ramachandran propone
che il claustro funzioni come un rilevatore di sincronia, e come un modulatore
ed integratore di oscillazioni sincronizzate[17]; Remedios e colleghi ritengono che la funzione
del claustro attenga al rilievo e all’elaborazione degli elementi più
importanti e significativi di un’esperienza (salience hypothesis)[18], secondo quanto è emerso dai loro esperimenti condotti su primati
svegli.
Smythies, Edelstein e Ramachandran
rispondono alle critiche di Helen Sherk sulla loro
ipotesi prendendo le mosse da questa osservazione della Sherk:
“Una previsione dell’ipotesi
che può essere valutata, tuttavia, è che i neuroni claustrali abbiano risposte
multimodali”[19].
“In primo luogo, sottolineano
che l’affermazione si addice ad una precedente formulazione della loro idea
sulle funzioni del claustro, ma non è pertinente alla versione attuale[20]; poi precisano che secondo loro ogni singolo neurone del claustro riceve
fibre afferenti da una sola modalità sensoriale. Tali cellule presentano
infatti solo risposte unimodali. Nella nuova versione dell’ipotesi, si sostiene
che le modalità differenti si mescolano quando questi neuroni generano
oscillazioni gamma all’interno del claustro in cui il cosiddetto sincizio
GABAergico gioca un ruolo chiave[21]. Si suppone che queste oscillazioni competano per la dominanza, e la
frequenza vincitrice attivi l’output motorio
del nucleo.
Smythies e colleghi poi controbattono all’affermazione della Sherk
secondo cui non vi sono evidenze dell’esistenza di sincizi GABAergici nel claustro,
rilevando innanzitutto che non vi sono evidenze del contrario, e poi che tali
dispositivi sono stati cercati solo nella corteccia e nello striato. I tre
studiosi sostengono che l’esistenza di sincizi FFI GABAergici e di gap junctions
nel claustro, si può considerare alla stregua di una previsione della loro
ipotesi, che sarà poi vagliata sperimentalmente[22].
Helen Sherk
osservava anche che la lenta conduzione delle fibre claustro-corticali le rende
inadatte a generare un effetto di sincronizzazione delle reti della corteccia
cerebrale. In risposta a questa osservazione, i tre ricercatori citano uno
studio condotto da Burns e colleghi (2011) nel quale si afferma che le
oscillazioni gamma non possono essere usate come orologi per precise codifiche
temporali, ma cionondimeno possono sincronizzare differenti reti γ-attivate
per un’accensione simultanea. Citano poi uno studio di Vicente e colleghi
(2008), nel quale si dimostra la capacità del cervello di compensare ritardi
temporali prodotti da proiezioni di lunga distanza, in parte mediante l’auto-organizzazione
dinamica di neuroni bersaglio lontani, che generano oscillazioni prive di
ritardo.
Infine, un’altra critica di
Helen Sherk, rivolta anche ai sostenitori
dell’ipotesi di Crick e Koch, rileva che in queste speculazioni si è preso in
considerazione solo il versante sensoriale, perché può essere esplorato negli animali
anestetizzati o svegli e immobili, ma se si dà uno sguardo anche sommario alle
connessioni corticali del claustro ci si rende conto che la massima parte
suggerisce un ruolo nell’elaborazione motoria e cognitiva. Rispondendo a questa
critica, Smythies, Edelstein
e Ramachandran affermano di condividere pienamente
l’idea di una partecipazione del claustro all’elaborazione cognitiva e, in
cooperazione con il talamo superiore, all’elaborazione motoria”[23].
Dopo questo sintetico aggiornamento, riprendiamo
il lavoro svolto dal team coordinato da Yoshihiro Yoshihara.
Kimiya Narikiyo
e colleghi indagando le basi e i caratteri dell’attività elettrica neocorticale
di grande scala costituita da onde lente (SW, da slow-wave) e caratteristica del sonno e del riposo da
svegli, hanno accertato un ruolo del claustro. L’osservazione
sperimentale ha infatti consentito di stabilire che il claustro coordina la
genesi delle onde lente (SW) da parte della neocorteccia.
I ricercatori hanno generato una linea di topi transgenici che ha
consentito l’analisi genetica di una sub-popolazione di neuroni
eccitatori glutammatergici presente nel claustro. Tale popolazione
di cellule nervose è risultata in rapporto reciproco con numerose aree
della corteccia cerebrale; infatti, riceveva input e inviava input a
territori sparsi su tutta la superficie neocorticale.
Lo sviluppo simultaneo di potenziali d’azione da parte dei neuroni claustrali
era prevalentemente correlato con l’attività SW prodotta in sede corticale.
Gli esperimenti di stimolazione optogenetica in vitro del claustro
inducevano risposte eccitatorie post-sinaptiche nella maggior parte dei neuroni
neocorticali, ma è risultato che evocavano potenziali d’azione
primariamente negli interneuroni inibitori GABAergici.
Gli esperimenti di stimolazione optogenetica in vivo inducevano
un SDS, ossia un synchronized down-state
determinante un prolungato silenziamento dell’attività neuronica in tutti gli
strati di molte aree corticali, seguito da uno stato di transizione dal
basso all’alto: down-to-up state transition.
In contrasto, l’ablazione genetica dei neuroni claustrali attenuava l’attività
SW nella corteccia frontale.
Nell’insieme i risultati emersi da questo studio, per il cui dettaglio si
rimanda alla lettura del testo integrale del lavoro originale, dimostrano un
ruolo cruciale dei neuroni del claustro nel sincronizzare gli interneuroni
inibitori attraverso estese aree corticali, per la coordinazione spazio-temporale
dell’attività SW.
L’autore della
nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di studi di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Lorenzo L.
Borgia
BM&L-16 maggio 2020
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Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Felix Vicq d’Azyr, oltre al claustro, ha descritto per primo il locus coeruleus, il locus niger, il fascio mammillo-talamico di Vicq d’Azyr e la benderella di Vicq d’Azyr; ha studiato i nuclei della base encefalica e le circonvoluzioni corticali. Morì in circostanze rimaste oscure nel 1794, durante il Terrore seguito alla rivoluzione francese.
[2] Felix Vicq d’Azyr, Traité d’anatomie et de physiologie avec
des planches coloriées representant au naturel les
divers organs de l’homme et des animaux,
vol. 1, François, Paris 1786.
[3] Buchanam K. J.
& Johnson J. I., Diversity of spatial relationship of the claustrum and
insula in branches of the mammalian radiation. Ann. N. Y. Academy of
Sciences 1225 (Suppl. 1), E30-E63, 2011.
[4] Helen Sherk, Physiology of the Claustrum (Ch. 5, pp. 177-191) in John R. Smythies,
Lawrence R. Edelstein, Vilayanur S. Ramachandran (eds), The Claustrum - structural, functional and clinical neuroscience. Elsevier
AP, 2014.
[5] Cfr. Helen Sherk, op. cit., p. 186, 2014.
[6]
Crick F. C. & Koch C., What is the function of the claustrum? Philos. Trans. R. Soc. Lond. B. Biol. Sci. 360, 1271-1279, 2005.
[7]
Smythies J., Edelstein L., Ramachandran V.,
Hypotheses relating to the function of the claustrum. Front. Int. Neurosci. 6, 1-16, 2012.
[8] Note e Notizie 16-09-17 Discussione sul claustro.
[9] Cfr. Helen Sherk, op. cit., p. 187, 2014.
[10] Crick F. C. & Koch C., op.
cit., 2005.
[11] Crf. Rahman e Baizer, Brain
Research 1159, 94-111, 2007, cit.
in Helen Sherk, op.
cit., p. 187, 2014.
[12] Smythies J., et al., op. cit., p. 2, 2012.
[13] Helen Sherk, op. cit., p. 188, 2014.
[14]
Cit. in Helen Sherk, op. cit., p. 188, 2014.
[15] Cit. in Helen Sherk, op. cit., ibidem.
[16] Note e Notizie 16-09-17 Discussione sul claustro.
[17] Smythies J. R., et al. Hypotheses relating to the
function of the claustrum. Front Integr Neurosci. 6, 53, 2012.
[18]
Remedios R., et al. Unimodal
responses prevail within the multisensory claustrum. Journal of Neuroscience 30, 12902-12907,
2010.
[19] Helen Sherk, Physiology of the Claustrum, p. 188, in John R. Smythies, Lawrence R.
Edelstein, Vilayanur S. Ramachandran (eds), The Claustrum - structural, functional and clinical neuroscience.
Elsevier AP, 2014.
[20]
La prima versione dell’ipotesi
si trova in Smythies J., et al.,
The functional anatomy of the claustrum: the net that binds. WebmedCentral Neurosci. 3
(3) WMC003182, 2012; la formulazione successiva è stata pubblicata in Smythies J.,
Edelstein L., Ramachandran V., Hypotheses relating to the function of the
claustrum. Frontiers
in Integrative Neuroscience
6, 53. doi: 10.3389/fnint.2012.00053, 2012.
[21] Nella corteccia è stata
dimostrata l’esistenza di una un’estesa rete polisinaptica
bidirezionale costituita da giunzioni elettriche; si suppone che vi sia nel
claustro un simile sostrato anatomico alla base della sincronizzazione.
[22]
Cfr. John R. Smythies, Lawrence R. Edelstein, Vilayanur S. Ramachandran (eds), The Claustrum -
structural, functional and clinical neuroscience, p. 344, Elsevier AP, 2014.
[23] Note e Notizie 23-09-17 Seconda discussione sul claustro.